PERSONAGGI ILLUSTRI

Il Museo conserva cinque busti che raffigurano personaggi illustri della storia di Galatina

(1832-1885)

PIETRO SICILIANI

Per la biografia vedasi link di approfondimento nella sezione Biblioteca. Busto realizzato da Eugenio Maccagnani

(1748-1832)

BALDASSARE PAPADIA

laureato in diritto civile e canonico, fu uno dei maggiori e più importanti storiografi del Salento. Opera di maggior prestigio fu Memorie storiche della città di Galatina stampata nel 1792, grazie alla quale la Regia Segreteria di Stato dichiarò “città” Galatina. Fu autore, inoltre, delle Vite di alcuni uomini illustri salentini (Napoli, 1805), di un volumetto comprendente dieci egloghe dedicate a dieci diverse personalità dal titolo Favolette boscarecce e di altre opere. Fu membro dell’Arcadia (col nome di Lirindo), della Società Pontiana e di altre prestigiose accademie italiane. Suo figlio Bernardino ebbe qualche ruolo nel locale Risorgimento (da Galatinesi Illustri a cura di M.F. Natolo, A. Romano, M.R. Stomeo). Busto realizzato da M. D’Acquarica, 1906.

(1665-1718)

ALESSANDRO TOMMASO ARCUDI

Appartenente ad una storica famiglia galatinese (e soletana), ha avuto modo di conoscere e consultare opere e manoscritti di grande utilità per la storiografia, in gran parte sconosciuti agli storici successivi. La sua Galatina letterata, una raccolta di ricerche su una quarantina di galatinesi illustri, è tuttora una preziosa fonte storiografica. In essa, malgrado gli inevitabili errori (a volte dovuti da “necessità” polemica verso credenze o storiografia precedenti), Arcudi dimostra di avere buone fonti e di cercare il più possibile riferimento a documenti.

La sua prima opera, del 1699, è L’anatomia degl’ipocriti, firmata con lo pseudonimo di Candido Malasorte Ussaro, anagramma del suo nome e cognome. L’opera, in cui la “vis polemica” del predicatore galatinese ha modo di esprimersi ampiamente, conta circa 800 pagine in cui tra i bersagli preferiti figurano i gesuiti accusati di visitare botteghe e “femminelle” anziché ritirarsi a studiare.

Forse per una sorta di legge del contrappasso subisce maldicenze ed accuse che convingono i suoi superiori a relegarlo nel convento di Andrano, lontano dall’amata patria galatinese.

Oltre alla Galatina letterata pubblicata in Genova nel 1709, scrive Le due Galatine difese (ossia la patria e il libro), in cui ribadisce la patria galatinese del vescovo di Nardò Giovanni Barlà e l’attribuzione alla famiglia dei Colonna (anziché a quella dei Mongiò) di Pietro Galatino; ma soprattutto difende il suo libro, La Galatina letterata, le scelte operate, la selezione, le fonti. Lascia numerosi altri scritti di carattere filosofico e religioso (da Galatinesi Illustri a cura di M.F. Natolo, A. Romano, M.R. Stomeo). Busto realizzato da P Bardoscia, 1906

(1475 ca. - 1535 ca.)

MARCANTONIO ZIMÀRA

Laureato in filosofìa e in medicina, pur essendo di umili origini, eccelse così tanto che Alessandro Tassoni lo incluse nei moderni filosofi. A Padova, che gli eresse una statua, fu pubblico lettore di filosofia con “approvazione universale e riconoscimento generale di finissimo intelletto”, come si ricava dal Gymnasium Patavinum. Fu certamente a Galatina nel 1514, anno della sua elezione a sindaco, e a Napoli nel 1522, portavoce – con Pietro Vernaleone – delle problematiche che affliggevano la patria oppressa dai soprusi dei Castriota, duchi della città. Egli stesso spiega qualcosa della sua vita e della sua attività nell’epistola dedicatoria stampata come introduzione agli Ornibeleti di Erveo, opera sconosciuta, ritrovata, corretta e ristampata dallo stesso Zimara. Fu autore di molte opere, non tutte stampate. Di quelle stampate Arcudi ricorda: Quest’io de primo cognito, Problemata al duca di Ferrandina di D. Castriota, Theoremata, Solutiones contradctionum, Tabula dilucidationum (da Galatinesi Illustri a cura di M.F. Natolo, A. Romano, M.R. Stomeo). Busto realizzato da C. Mariano, 1906.

(XV-XVI sec.)

PIETRO GALATINO

Frate francescano e teologo, è stato profondo conoscitore dell’aramaico e dell’ebraico, oltre che del latino e del greco, nonché tra i primi in Italia ad apprendere l’etiopico.

Studioso delle Sacre Scritture, non è estraneo all’autoesaltazione, fino a convincersi di essere l’incarnazione di un novello profeta, l’Atteso Pastore o Papa Angelico. Diviene testimone, suo malgrado, della strage di Otranto del 1480. È docente universitario di filosofia e teologia e penitenziere apostolico in San Pietro a Roma. Tiene corrispondenza con Massimiliano I, Carlo V, Ferdinando I il cattolico, Enrico VIII. La sua opera più celebre, De arcanis catholicae veritatis (un’edizione del 1518 è conservata presso la nostra Biblioteca) affronta la questione del valore da attribuire ai testi sacri ebraici. Di lui sono noti anche i Commentaria luculentissima in Apocalipsim loannis, oltre ad altri trattati ed opuscoli lasciati nel suo convento romano dell’Ara Coeli (da Galatinesi Illustri a cura di M.F. Natolo, A. Romano, M.R. Stomeo). Busto realizzato da C. Mandorino, 1906

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